Testimoni:
g
Bd, f. 141r-v;
g2
Cp392, f. 190r
g3
Tou2102, f. 132r
V4784, f. 127r).
Alla luce di quanto osservato in
Africa poi a proposito dell’art. masch. plur.
ei, normale nella poesia umbra, il verso incipitario potrebbe leggersi con asindeto
Le belle rose, ei gigli, ei freschi fiore, o con polisindeto
e i, del tutto indifferentemente. Non mi pare davvero dirimente a favore della prima soluzione il fatto che
g3 riduca
ei g. in
i g., perché la congiunzione si potrebbe d’altronde estrarre dal precedente
rose >
ros’ e. Propendo infatti per la seconda alternativa, quella polisindetica, che rende stringente il confronto con
incipit petrarcheschi memorabili quali
L’oro et le perle e i fior’ vermigli e i bianchi (
Rvf 46) o l’omologo disperso
L’oro e le perle e i bei fioretti e l’erba; ma la vera reminiscenza soggiacente è qui piuttosto un luogo della celebre canzone di Bartolomeo da Castel della Pieve,
Cruda, selvaggia, vv. 44-48, «mira i tuoi biondi capigli, |
le bianche rose e i freschi fiori e ’ gigli | che
’ntorno a’ tuo begli occhi | vernan,
che par che fiocchi | del paradiso un
ciel di nove
stelle»... cui non mancano di aggiungersi altri echi nei versi successivi, v. 55: «or poi che
’l ciel per amor
s’innamora» (4 «l’arie s’alegre e ’l ciel se ne inamore»)... v. 58: «
O specchio de’ mortali, o vaga iddea» (10 «o specchio del mio core, o dolce riso»). L’epiteto «specchio del core», complessivamente inusuale, si ritrova in un’altra rima attribuita a Petrarca,
Amore, or m’accogh’io di Lorenzo Moschi, v. 40, «Ahi! donna,
del mio core specchio e luce». Meno frequente, e di nuovo con riscontro in una dispersa, è la
iunctura «vago rimirar» di v. 8, in
Gli antichi e bei pensier, v. 4. Al contrario, la non rara clausola «viso adorno» si trova più volte nel Petrarca ‘ufficiale’ –
Rvf 85, v. 7; 122, v. 13; 251, v. 10 –, e fra queste è un contatto vistoso quello con
Rvf 85, cui sono attinte tutte le parole-rima dalla sede B alla sede B, oltre appunto a
adorno,
giorno :
torno :
intorno (le stesse quattro anche in
Rvf 157, sede A).
Ancora a proposito di sedi rimiche, è adiafora l’opposizione fra Bd, con rima A in -
ore (che risulta in una serie linguisticamente eccentrica:
fiore plur.;
inamore cong. 3
a p. [Rohlfs §555];
ardore plur.;
acore indic. 2
a p. [Rohlfs §528]), e la parte destra dello stemma
g2, che normalizza la sequenza in -
ori. In simili casi si predilige sempre Bd, ma di per sé non sarebbe inverosimile che, a partire ad esempio da un passaggio
fiori >
fiore (plur.), il seguito della serie gli sia stato allineato. È tuttavia risolutivo che, nel verbo “allegrarsi” a v. 3, grammaticalmente equipollente a “innamorarsi” che segue e con esso coordinato,
g3 legga, insieme a Bd,
s’alegr-e, isolando Cp392 che converte tale forma in
s’allegr-i: per “allegrarsi”, insomma, l’accordo promuove come genuina la forma congiuntivale arcaica in
-e, che andrà perciò con ogni verosimiglianza assunta anche per l’equivalente e contiguo
s’inamore, riconoscendo la rima in -
ori quale innovazione. Il mutamento
e >
i in posizione atona finale si dimostra d’altronde pervasivo in Cp392, che, solo, legge a v. 9
stelle accese >
accesi, v. 10
dolce riso >
dolci; v. 13
donna gintile >
gintili.
Al v. 5 Tou2102 e V4784 recano
core per
cor, un’ipermetria solamente ‘grafica’ che, in quanto tale, non menziono in apparato, seppure caratteristica di un gruppo,
g3.
La frase relativa ai vv. 13-14 è costruita con pronome più sovrabbondante elemento anaforico,
la quale ..... vi porto, secondo la strategia della proposizione relativa pleonastica su cui vd. Dardano (
Sintassi, pp. 224-226, con ampia esemplificazione). Parimenti, non pone difficoltà l’oscillazione fra 2
a p. sing.: v. 2: «
tuo viso»; v. 6 «
tua vaghecza», e 2
a p. plur.: v. 7: «per
voi»; v. 12: «da
voi»; v. 14: «
vi porto», consueta in poesia lirica (mentre è un caso distinto v. 11, «con
voi», che a rigore potrebbe regolarmente avere per co-referente plurale «stelle... specchio... riso» dei vv. 9-10).
Mi sembra deteriore, tanto più se confrontata con il luogo parallelo di
Cruda, selvaggia qui messo in luce, la singolare scelta operata da Solerti al v. 2,
sì rapresentan in luogo di
se r., tesa evidentemente a applicare alla consecutiva un costrutto correlativo (
sì... che...), in realtà del tutto non necessario, e legittimo d’altronde solo a partire dalla lezione di Cp392 (
si r.; gli altri
se r.). È invece una sua tipica ‘licenza’, senza riscontro nei manoscritti, la variante
scolpita o pinta al v. 14 invece di
s. e p.