SP165

   Invidia più non ho di beato amante:
viva qualunquase ben sacontento,
perché da me levato è ogni tormento
e le lacrime triste che eran tante,

   poi che la fera fugitiva e errante,
al dolce suon dil mio grave lamento,
ver' me si asise col pensier attento

tuta pietosa in acto et in sembiante.


   Quel suo benigno e masueto orgolio
ardir mi porse a discoprirgli alquanto
qual sian gli strali e le favile ardente

   trate dai suoi belgi ochi al mio cordolio.
Ella si stete a udirmehumile tanto
che ogni dolor mi svelse de la mente.


Testimoni:
L17, f. 68v (> L41.2, f. 46va)

Bibliografia: Solerti, Disperse, pp. 225-26.

Schema metrico: Sonetto ABBA ABBA CDE CDE
      In questo limpido sonetto sul motivo della pietà di Madonna solo un luogo al v. 2 sollecita qualche riflessione, che permette di ravvisarvi diverse opzioni ugualmente valide. Muovendo dalla facies del manoscritto, Uiua qualu(n)qua se ben sa contento, lo scioglimento più naturale è certamente Viva qualunque, se ben sa, contento, “Viva felice chiunque, se ne è capace”, che accolgo a testo. La clausola se ben sa non annovera veri e propri esempi gemelli, ma è corroborata da casi accostabili quali Dante, Inf. VIII vv. 81-82, «Sol si ritorni per la folle strada: | pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai»; Antonio da Ferrara, Rime, IV v. 18 «A chi, se sa ben dir, ben dir non lice?»; Antonio Pucci, Rime, 8 v. 8: «Se sa correr, corra», e soprattutto, con analogo inciso, Francesco di Vannozzo, Rime (ed. Medin), CXLVIII v. 12: «Mo faza ben, se sa, pianeto o stella!».
      La lettura di Solerti, Viva qualunque, se ben s’ha, contento, “Viva felice chiunque, se ha del bene” – con il diffuso uso pronominale aversi del verbo avere, di cui nemmeno occorrere allegare esempi (Dante, Vita nuova, cap. 21 par. 5: «Questo sonetto si ha tre parti»; Intelligenza, 18, v. 1: «La terza pietra si ha nome Allettorio»; Chiaro Davanzati, Rime, canz. 24 vv. 31-32: «perché il podere e’ s’ha, | dicane ciò che sa») – è indubbiamente più ricercata, e però francamente artificiosa. Essa indirizza tuttavia verso un’ulteriore possibile pista: Viva qualunque, se ben s’à contento, con aversi pronominale, bene avverbio rafforzativo (come in numerosissimi casi, Dante, Rime, canz. 18 [App. V], v. 27, «Ben avrà questa donna cuor di ghiaccio»; Pucciandone Martelli, Lo fermo intendimento k’eo agio, v. 83, «Ben aggio speramento»; Novellino prima red., 74 [254.16]: «Se io piango, io òe bene ragione e cagione»; Gradenigo, Quatro Evangelii, c. 20 v. 101, «Se uno avesse ben pecore cento») e contento lemma sostantivale (TLIO ad vocem (2)): “Viva qualunque (beato amante), se ha ben felicità”. Come uso affine si potrebbe richiamare quello di Finfo, Se long’uso mi mena, v. 32: «Però, chi ben è sag[g]io | e vede ben, e’ s’à gio’»; e si noti pure che contento sostantivale in rima con tormento e lamento si trova in sede B anche in SP059 Del loco, dov’è sol. Questa soluzione avrebbe dalla sua il vantaggio di sopprimere il faticoso inciso, promuovendo una più agile sintassi, oltre che certamente una più elegante lettura, ma lascerebbe il congiuntivo viva ‘assoluto’, avulso da complemento predicativo. È pur vero che Viva + aggettivo non pare godere di una qualche diffusione all’altezza cronologica dei testimoni in oggetto: l’apparentemente comparabile «Vivi felice» di SP096, in quel sonetto – si badi – già vistosamente cinquecentesco, è invece una formula di congedo (dall’eterno frutto lì menzionato) tipica dell’epistolografia rinascimentale («Viva felice», come Vale felix). E tuttavia, malgrado questi argomenti, che rendono le alternative certamente possibili, rimane in ultima analisi preferibile per il senso che l’ottativo sia integrato da un complemento, viva contento, rispetto a un viva esclamativo puro, attestatissimo sì nel Trecento, ma deputato, come oggi, a un contesto di acclamazione piuttosto che di augurio (viva l’imperatore; viva il popolo; etc.).
      La sineresi non5 ho6 di7 bea8to9 del v. 1 è notoriamente un fatto prosodico anomalo (Menichetti, Metrica italiana, pp. 206-211): la tendenza di Solerti a ‘petrarchizzare’ il testo gli ingiungeva perciò l’emendamento non5 ho ˆ a6 be7a8to9, mentre naturalmente qui si opterà per preservare il testo tradito, di cui anzi tale eccezionalità accresce l’interesse.
      L17 e il suo descriptus si distinguono per minime varianti formali o grafiche: 5 poy > poi; 7 penssier > pensier; 8 & > e; 9 benigno e masueto > benignio emansueto; 9 orgolyo > orgolio; 11 fauile > fauille; 12 suoy belgi ochi > suoi begli occhi, fra cui si noti in particolare per v. 9 che masueto e masuetudine contano nel corpus OVI attestazioni troppo poco eccezionali per pensare a un errore, con una ricorrenza immune da ogni sospetto nelle Epistole di Girolamo da Siena (tosc. > ven.).
8 pietosa] la sillaba sa agg. in intl. L17