ES32

   L'aurëo segno tanto trionfale

al signor d'esto libro il nome segna;

viva virtù che dentro al suo cor regna

resplendente il fa et immortale;


   et sua bellezzache non truova equale

ne l'universoè da Dio fatta degna

tra noi mortali esser verace insegna

in mostrar quanto può Naturao vale;


   onde se preso i' fui del suo amore,

se scrivendo quest'opra crebbe il foco

et se amando convien ch'io mi distempre,


   giamai avendo un  fatto signore

non mi dorròma 'l tempol'ora e il loco

in lo qual preso i' fui adorrò sempre.



Testimoni:
κ
    LR2, f. 92va: Sonetto [attribuzione collettiva a f. 90va: Seghueno anchora canzoni esonettj | di mess(er) franciescho petraccha];
     LS172, f. 184v;
     Par1022;
     Wa410, f. 147v

Bibliografia: Dutschke, Census, p. 42.

Schema metrico: sonetto ABBA ABBA CDE CDE

La concordia della tradizione su 14 et dorrò è sufficiente ad individuare l’archetipo κ. Dopo aver infatti dichiarato la sua devozione per il committente, negli ultimi quattro versi il copista-autore (si tornerà più oltre sui rapporti intercorrenti fra il locutore e il destinatario, e sulle questioni di identità) deve affermare che seppure egli si sente preso da un amore che finirà per consumarlo (convien, esprime qui necessità, come di norma nell’italiano antico) e che è destinato a crescere, egli non se ne dorrà (v. 13), piuttosto gioirà sempre (v. 14) perché il destino lo ha legato a un sì fatto signore. È ovvio infatti che, nel contesto, et dorrò del v. 14 strida in modo eclatante con il non mi dorrò del v. 13, e facile è la soluzione della contraddizione se si postula a monte il futuro sincopato del verbo ʻadorareʼ, adorrò, raro ma presente nel Corpus TLIO con cinque attestazioni (esiguità di occorrenze che vale anche a spiegare la genesi dell’errore), tre delle quali in Giordano da Pisa (Quar. Fior., 44, p. 229 «ʻVerranno i veragi adoratori, i quali adorranno a Dio in spirito e veritadeʼ, cioè a dire che adorranno al verage Idio e non al falso, come i pagani. Questo è adorare a Dio in veritade. Adorranno in ispirito, cioè co l’amore e colla devozione e contrizione del cuore»; Canzoniere del sec. XIV, 18, 44 «et adorrolla fine al mio ritorno»; Gradenigo, Quatro Evangelii, c. 3, 122 «et ador(r)òllo con devuto inclino»). La congettura ha pure il vantaggio di chiarire senza difficoltà la trafila eziologica dell’errore prodottosi nell’archetipo: adorrò (> edorrò) > (et)dorrò. L’individuazione dell’archetipo trova d’altronde conferma nella monolitica circolazione del testo entro la compagine libraria del Canzoniere: come in Wa410, nel Parigino e nello Strozziano il sonetto chiude la serie Canzoniere-Triumphi; i primi due sono ravvicinati dalla presenza della canzone di Alberto Orlandi da Fabriano Beato il prego tuo cortese e almo a distinzione delle opere volgari, e dalla presenza della nota obituaria di Laura tra la fine dei Triumphi e il sonetto qui edito. Il recupero del sonetto che la seconda mano del Rediano attua, ponendo il testo in chiusa della silloge petrarchesca, rientra nel medesimo quadro, attribuendo al Petrarca un testo che ha circolato come corredo del suo libro.
Dal punto di vista prosodico andrà notata la presenza della dieresi d’eccezione, legittimata tuttavia proprio dai Fragmenta, su aurëo (sul fenomeno cfr. Menichetti, Metrica, p. 289). Più difficile ammettere la dubbia dialefe d’eccezione al v. 4 resplendente il fa, per la quale sarebbe facile postulare a monte la forma lo (fa): non potendosi escludere l’autorialità del fenomeno, essa va comunque preservata per rispetto della tradizione.
Lo spazio concesso ad aspetti paratestuali del libro e al processo d’allestimento del codice (1 l’aüreo segno; 2 d’esto libro; 10 scrivendo quest’opra) invitano a pensare, piuttosto che a un auctor, a uno scriptor. L’acrostico che s’individua collegando l’iniziale di ciascun verso (LAVRENTIOSEGNI) ha però generato, a partire da Wilkins, Manuscripts , n° 5, una vulgata secondo la quale l’autore del testo sarebbe un fantomatico copista-poeta di nome Lorenzo Segni. Complice di questo fraintendimento fu anche il fatto che a lungo l’unico latore del sonetto fu considerato Wa410, un codice di lusso nel quale il testo figurava a sigillo della trascrizione del Canzoniere e dei Triumphi, e che ha portato a identificare automaticamente l’autore del sonetto con il copista del manoscritto. Basterebbe ora solo uno sguardo all’apparato per rendersi conto che Wa410 non può essere considerato un originale, in quanto viziato dal maggior numero d’errori proprî rispetto ai suoi collaterali (ha verificato per noi la correttezza della trascrizione di Dutchke la dott.ssa Linley Herbert, responsabile della sezione manoscritti del Walters Art Museum). Tra gli errori non si registra 10 opera, che potrebbe valere come semplice forma soprannumeraria, scandibile come bisillaba.
Ma c’è altro da mettere in conto. Una lettura meno corriva dei versi chiarisce senza ombra di dubbio che Lorenzo Segni deve essere il committente del libro, non l’autore, altrimenti non si spiegherebbe come ai giochi onomastici con cui si apre il testo, con l’affinità fonica L’aurëo (= Lorenzo) segno (= Segni), possano seguire le lodi sperticate dei versi seguenti alle virtù e alla bellezza (vv. 3-5), testimonianza della potenza divina (vv. 6-8). Un trattamento di questo genere si giustifica semmai con un patrono, al quale infatti l’autore-copista si rivolge nelle terzine usando la terza persona. Ancora, andrà notato che l’insistenza sul nome di famiglia è replicata dal verbo segna (ʻassegnaʼ, ʻattribuisceʼ: il significato non sembra riconosciuto dal GDLI, s.v. ʻSegnare1ʼ, ma si vedano gli esempî offerti a §13, che si addicono a questa lettura), che è riferito al signor d’esto libro, cioè necessariamente al possessore (come aveva intuito già indipendentemente Salvatore, Sondaggi, p. 65), il quale difficilmente, per un codice di lusso, sarà il copista.
Si può provare a specificare in cosa esattamente consistesse l’aurëo segno con cui si apre il testo. Oltre all’ovvio ammiccamento onomastico a Lorenzo Segni, certo è che si tratti di un elemento decorativo del libro – data la funzione necessariamente deittica dell’articolo iniziale – rispetto al quale i versi si pongono come corredo ecfrastico: ʻIl segno trionfale indica (segna) il nome del suo possessoreʼ. Piuttosto che a uno stemma araldico (diversi sono quelli delle varie diramazioni della famiglia), sarei propenso a pensare a un lauro d’oro, cui sembrano rimandare insistentemente sia l’attacco (le lettere compongono infatti anche la parola Laureo, col solito richiamo onomastico) che l’aggettivo trionfale, che pare impossibile non richiamare la nota corona triumphalis, appunto un serto d’alloro. Come si è visto, d’altra parte, che il segno debba rievocare immediatamente il nome del committente (signore), Lorenzo appunto, è esplicitamente dichiarato al v. 2.
Stante la situazione contestuale, è ovvio che l’attribuzione petrarchesca non regga, e d’altra parte essa è esplicitamente postulabile nel solo LR2, ma pure qui di incerta tenuta, poiché, se è vero che il sonetto si trova in chiusa di una silloge petrarchesca ben individuata da Baroncino, copista principale del Rediano (a f. 90va: Seghueno anchora canzoni esonettj | di mess(er) franciescho petraccha), il fatto che la trascrizione sia opera del copista «Carlo» rende incerta l’estensibilità dell’attribuzione collettiva anche a questo testo. LS172, per parte sua, esclude implicitamente la paternità del Petrarca apponendo l’explicit Qui finiscono itriumphi diMesser francescho Petrar | cha laureato poeta fiorentino, prima di trascrivere il nostro sonetto.
Nell’attribuire il testo a un copista in servizio, andrà segnalata tuttavia una sua certa personalità letteraria, che può ricordare figure di copisti-poeti come quelle di un Felice Feliciano (i codici attualmente noti non arretrano peraltro più in là della metà del secolo XV). Notevole è lo scialo di tecnicismi retorici, a partire dalla scelta del sonetto acrostico. Si rilevano però anche figure etimologiche (1 segno; 2 segna), adnominationes (13 dorrò / 14 adorrò), allitterazioni (1 segno / 2 signor; 2 viva virtù), oltre ai varî giochi onomastici, segnalati in precedenza, per alludere al nome del dedicatario.
1 signor] signo Wa410
3 suo cor] cor (omiss. suo) Wa410
6 è] & Wa410
9 i’ fui] fui LR2
12 fatto] (t) mrg. ← caro Par1022
14 adorrò] et dorrò κ