Testimoni:
Bo177, ff. 230v-231r:
Federico di M(esser) Geri; C
4, f.
367v:
Sonetto del medes(imo) [Marchionne Torrigiani]; Capp183, f.
2r; LR
2, f. 139r:
Sonetto di Marchion(n)e detto [Marchionne di Matteo Arrighi]; Pr
1, ff. 13v-14r; R939, f. 101v;
v (
va:
va1: Vc1010, f. 72r; Ox
6, f. 72r;
va2: Vc1494, f. 52v; Est
2, f. 90v; Ox69, f. 106r;
vb:
vb1 Wo, f. 26r; Bo
1, f. 75r; Mc283, ff. 24v-25r;
vb2 Mc
1, f. 131v; Mc
2, f. 72r; Vb359, f. 28r).
Bibliografia: Solerti,
Disperse, p. 204; Crescimbeni,
Comentarj, pp. IV, 157; Sagredo,
Sonetti inediti, p. 29; Ferrato,
Raccolta di rime, p. 19; Pasqualigo,
Trionfi, p. 28; Sapegno,
Poeti minori, p. 475; Vecchi Galli,
Per una stilistica, p. 118; Limongelli,
Poesie volgari, pp. 328-35; Carducci,
Rime di Cino da Pistoia, p. 43.
La conferma di
v si ha nella coincidenza di tutti i testimoni che afferiscono al gruppo nello scambio dell’ordine dei versi delle terzine: nel confronto con tutti gli altri manoscritti questi si presentano nel sestetto così: 12 10 11 13 9 14, con qualche affanno nel senso. In più casi si ripropongono invece i sottogruppi di secondo livello (in particolare s’individua in più occasioni
va1): si segnala un problema che coinvolge
v al v. 11 (nella nostra edizione: «che tenean verde in me ᾿l dolce disio»), pur con esiti diversificati in differenti gradi di fraintendimento:
va2 ad es. intuisce la voce
verde ma adatta il resto a una forzosa coordinazione (
tenean verde me e᾿l dolce desio), più elaborata la lezione di
va1 e di
vb nella scomposizione
ver' di me (
che tenea ver' di me); ma circola sempre all’interno di
v anche la forma risolutoria, come in Bo
1 (
tenean verde in me), approssimata da Mc
2 (
che tenean verde il mio dolce d.), e riportata a margine in Mc
1. Anche altri testimoni arrancano (come Pr
1 R939 Capp183) mentre non c’è difficoltà a ricostruire il verso in base alla concordia di Bo177, Bo
1 e, nella sostanza a parte la voce verbale
tenne, di LR
2, col supporto della libera costruzione di C
4 (
che verde tiene in me). Al v. 5
vb si individua per la sostituzione della voce verbale
odo con la congiunzione
e, mentre i due sottogruppi reagiscono però diversamente per il sostantivo
augelletti /
augelli. Del resto in tutta la tradizione si avverte il problema della misura del verso: all’eccedenza ci si rassegna (LR
2 Pr
1) o si interviene sull’articolo (
va) o, indipendentemente, sul rafforzativo dell’avverbio (Bo
1 R939 Capp183), si deve quindi pensare a un’instabilità poligenetica in presenza della soluzione, la forma ‘poetica’
uccei sulla base di Bo177 e di C
4. Non si danno altri apparentamenti di base: non è significativa la ripetizione della parola in rima
campagna ai vv. 2 e 3 di Pr
1 e R939, corretta nel primo da mano più tarda, facile errore indipendente come dimostra l’iterazione contraria, quella di
montagna al v. 2, in C
4 poi risolta dallo stesso copista. Al v. 13 non si riesce a dare una giustificazione che riporti
ad unum le letture di Bo177 (
m. il viso dolce e i d’or capelli), C
4 (
m. il viso e suoi biondi capelli) e R939 (
rimembrando il viso e d’oro i capelli), tutte omissive di
gli atti: non soddisfa, ma è quanto si presenta, congetturare una resistenza individuale alla dittologia
il viso e gli atti, affermata (anche in
Rvf 388,5) ma con diffusione seletta, o supporre un rimedio, chirurgico piuttosto che compensativo, all’effetto scazonte del verso come suona nella totalità degli altri testimoni
membrando il viso e gli atti e d’or capelli (con deviazione di
va1 e lor capelli) per l’asimmetrica mancanza dell’articolo all’ultimo membro dell’elenco, sanata (
motu proprio?) da Bo177. La funzione attributiva di
d’or è sostenuta da un verso petrarchesco
Rvf 29, 3
né d’or capelli in bionda treccia attorse, dove però non è richiesta alcuna determinazione, invece necessaria nel nostro caso seriale, dove la presenza dell’articolo potrebbe al limite essere criptica a seguito di assimilazione:
e ’ d’or capelli. Per le due varianti adiafore che si fronteggiano al v. 4 il discernimento dovrebbe essere affidato al criterio maggioritario, l’unico possibile ma decisamente grosso in una situazione ecdotica arruffata com’è quella del nostro testo. Le lezioni sono: di Bo177 e di LR
2 e C
4 (questi si sanno collaterali riconosciuti)
coperto (
coperti LR
2)
di (
d’un C
4 LR
2)
bel verde ogni sentieri vs
d’erbe e di fior vestito ogni sentieri degli altri manoscritti, che vuol dire
v al completo ma anche gli ‘indipendenti’ Capp183, Pr
1, R939. Non si può ignorare che qui si associano, come al v. 13 si accostavano, le testimonianze di Bo177 e di C
4, ma non pare possibile stabilire una dialettica ecdotica tra i due casi; merita invece considerare le proposte: la soluzione ‘analitica’ della seconda è normalizzata sui richiami petrarcheschi, nel ricorso frequente nei
Rvf della coppia
erbe e fior, presente anche il verbo ‘vestire’, detto dell’erba a 127, 20 e 270, 67; per l’altra lezione un’immagine affine si ha in Fazio degli Uberti «e son coperti i poggi, ove ch’io guati, d’un verde… » (
I’ guardo in fra l’erbett’e per li prati, 5-6) ma si deve richiamare l’occorrenza ‘mediatrice’ di Dante «…che riscalda i colli / e che li fa tornar di bianco in verde / perché li copre di fioretti e d’erba» (
Al poco giorno ed al gran cerchio d’ombra, 10-12). Gli argomenti di vicinanza o di distinzione a/dal modello non sono determinanti per una scelta qualitativa, nemmeno i primi se per gli altri testi (in particolare
In ira al cielo…) dove è stato possibile dare un disegno, o un abbozzo, dei rapporti stemmatici, si è visto come proprio l’attrattività del testo autorevole agisca come motore di innovazione. Certo che il testimoniale non è equipollente, ma in assenza di un quadro razionale dei rapporti tra i manoscritti si deve riconoscere all’alternativa di Bo177 e LR
2 C
4 la rilevanza che deriva da soggetti indipendenti non relegandola quindi nell’apparato negativo, senza per questo inferire una qualifica di variante d’autore. Si può invece scegliere tra l’alternanza
la /
una campagna, l’opzione per
una ha dalla sua la maggioranza,
la, che è in Bo177 e in
va, suona come
variatio rispetto all’articolo del verso seguente, ma il motivo è comunque fragile: mi pare invece che, avendo il poeta in traslucido i campi petrarcheschi, avvertisse nella voce
campagna, utilizzata per distinguersi, un’indicazione spaziale troppo ampia, meglio definita da
una, intendendo come ‘una precisa, solo quella’.
La paternità di Federico, attestata da Bo177 – ne deriva la citazione di Federico di Geri il Barbieri (
Origine poesia rimata, p. 166), che riporta i primi due versi del sonetto – è contesa da quella di Marchionne di Matteo Arrighi di LR
2 e di Marchionne Torrigiani nel Chigiano (C
4). A proposito di quest’ultima è netto il giudizio di Barbi (
Studi sul canzoniere di Dante, pp. 487-88) che la pone tra le «attribuzioni false e strane» del codice, nello specifico tentativo maldestro di completare l’indicazione isolata del nome Marchionne (in altra parte per un altro testo il nome in rubrica di C
4 è Marchionne Marchionni); a queste si aggiungerebbero le devianze degli «eruditi poco esperti e faciloni che di quel ms. si servirono», e resta agli atti la ‘scomunica’ del testimone: «Si può dire che la testimonianza del codice Chigiano sia stata una delle cause più potenti a turbare la tradizione diplomatica delle antiche rime italiane, portando in essa nomi nuovi non rispondenti…», tuttavia il filologo sta parlando dell’ordinamento e delle rubriche non del portato testuale. Il Chigiano è stato oggetto di una relativa ‘riabilitazione da parte di Claudio Giunta (
Rime Alberto degli Albizzi, pp. 366-67). La testimonianza di LR
2 è invece fondamentale per i sonetti del figlio di Matteo Arrighi – undici ai ff. 138v-139v, più un testo isolato a f. 143v – per lo più di carattere comico sentenzioso; tra questi
Solo soletto, quarto della serie, fa macchia per la materia amorosa e per lo stigma petrarchesco. Se è vero che un esercizio poetico su un esempio affermato non si può aprioristicamente rifiutare a nessuno, l’attribuzione a Federico di Geri, giustificata dal tema e non contraddittoria nello stile – di poco peso la diversità dello schema metrico ugualmente comune e fra l’altro petrarchesco e in particolare quello di
Rvf 35 – si presenta quale alternativa possibile, per quanto con un inferiore grado di attendibilità rispetto alle due rime precedenti per la minore pregnanza documentaria dell’attribuzione unica e contraddetta. Il sonetto è stato pubblicato con ampio commento da Limongelli (
Poesie volgari, pp. 328-35). Lo studioso discute alla luce di verifiche documentarie le divergenze attributive tra il Chigiano e il Laurenziano (pp. 252-56), per quanto riguarda Francesco di Geri ritiene «più probabile» la sua paternità di
Solo, soletto anche per ragioni di affinità stilistica con gli altri due sonetti riferiti all’aretino.
Dopo i due versi incipitari che si rifanno esplicitamente
Rvf 35, con la variazione nel primo per cui si smarca l’autore dal calco che ci riserva invece col
vo misurando di v. 2, il sonetto vira verso un altro modello affrontando il
topos del tempo primaverile vissuto per contrasto da chi soffre di pena amorosa. Il richiamo diretto all’interno del Canzoniere è
Rvf 310,
Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena di cui viene ripresa la formula di passaggio alle terzine
Ma per me, lasso, anche se qui la semplificazione strutturale porta a distinguere nettamente le parti del sonetto: quella descrittiva allogata nelle quartine, e quella lirica nei terzetti. Gli elementi naturali sono ripartiti, in un pedantesco ritorno all’ordine, tra il mondo vegetale e l’animale, con il tema riguardo a quest’ultimo del risveglio all’amore al v. 7-8, come in
Rvf 310,
ogni animal d’amar si riconsiglia, in identica posizione alla fine delle quartine; così al v. 13 la parola
atti rinvia a
atti soavi in punta dello stesso verso di
Zephiro torna. Al di là delle tessere lessicali e stilematiche (di riconoscimento immediato:
lume di quegli occhi belli,
dolce desio,
d’or detto dei capelli, il verbo ‘inveschiare’) l’autorità fornisce la formula per esprimere in modo non banale il nutrimento d’amore al v. 11
che tenean verde in me ᾿l dolce disio rifatto su
Rvf 270, 66
tenea in me verde l’amorosa voglia (ma
disiri è presente in altro luogo petrarchesco dove è in uso la stessa metafora 158, 4
per far sempre mai verdi i miei desiri 158, 4). Non manca una citazione dantesca, assolutamente memorabile, da
Inf. VI 59
a lagrimar mi ᾿nvita, ma più sottile il richiamo di
l’amorosa ragna a
le ragne di Amor al v. 23 di
Io son venuto al punto della rota.
Si osserva anche qui la tolleranza o forse l’intenzionalità di una ripetizione, quella di
stagion ai vv. 6 e 9. Per la lingua:
sentieri ammesso in rima è un singolare (per qualcuno dei manoscritti ostico) come i tutti i nomi in -
ieri nel toscano non fiorentino (Castellani,
Grammatica storica, p. 313; Serianni,
Dialetto aretino, p. 127). A seguito degli argomenti sopra esposti affianco al v. 4 le due lezioni, distinguendo in grassetto i riferimenti in apparato di quella della seconda colonna.