Testimoni:
As2, f. 26v: Sonetto dimess(er) franciescho petrach(i).
Bibliografia: Debenedetti, Per le disperse, p. 100.
Schema metrico: sonetto rinterzato AaBAaB AaBAaB CcD[d]CCdD.
La lezione tradita risulta problematica nelle parole-rima, la sede stessa dove la fissità della terminazione generalmente interdice escursioni e anzi agevola facili restauri: ma il paradosso è solo apparente, perché è proprio il tentativo del testo di escogitare rime care, conseguendo una deliberata difficoltà, a comportare oscurità e incomprensioni, e di conseguenza errori.
A v. 3 è infatti evidente la difficoltà del copista, che trascrive una parola che, solo aiutandoci con la rima in
-inno, parrebbe di potersi leggere
ȼrinno, di cui la prima lettera è un carattere che non si impiega altrove (forse una
c biffata verticalmente, o una
i lunga con
titulus, o ancora una
z): non mi risulta possibile emendare soddisfacentemente questo lemma, che dovrebbe denotare uno strumento che produce
stridore nel
cupo metallo della campana (il batacchio?).
Ritocco a v. 6
abriccia del ms. in
e briccia, forma del lemma “breccia” rara ma attestata.
Non attestata è invece al v. 13 la parola rima
poriglio: un’ovvia correzione
periglio non sembra compatibile con il contesto, né d’altronde spiegherebbe l’incidente. Il corpus LirIO offre un’occorrenza di
boriglio in Francesco di Vannozzo (30 v. 7 [5018.43]; vd. pure Medin,
Francesco di Vannozzo, p. 291), nel significato di “punzone” qui assolutamente non pertinente. L’emendamento calzante tanto per il senso quanto per la rima è senz’altro
giaciglio, presente nel TLIO solo come voce ‘fuori corpus’ ma nondimeno attestato: ci si astiene tuttavia dall’accogliere una lezione che rischia di voler ‘migliorare’ il testo, e si preferisce non sacrificare
poriglio nell’eventualità, non del tutto da escludere, che si tratti di un lemma raro.
Al v. 15 in
fo di bigro, in un contesto di “grovigli” (v. 14, v. 18), è verosimile intravedere una forma legata al verbo
disbrigare, forse
fo di[s]bigro con metatesi di
r, ma di nuovo inattestata.
Fra il v. 15 e quello seguente il testo responsivo reca un settenario che qui manca. Nulla impone che questi due stravaganti sonetti, eccentrici anche metricamente come si dirà subito, si rispondessero per le rime in modo perfetto: tuttavia il salto logico che da tale luogo si avverte suggerisce di propendere per la presenza di una lacuna.
Come il responsivo che segue, il testo è un sonetto rinterzato, nella tipologia che Biadene (
Morfologia del sonetto, partic. pp. 54-55) definisce genericamente ‘degenerata’, con fronte in quartine regolari e sirma di cinque soli endecasillabi, indivisa perché a rigore non c’è modo di individuare un confine fra due terzine. Sono rime difficili B, C e D; si segnala la rima composta
sì no a v. 9.