R141 [Sol. LXXII - A18*]

   I' avea già le lagrime lasciate

e ritornava anchor nel viso il core,

perché alquanto più soave Amore

avea vedutoe l'arme avea posate;


   e a bene sperar quela beltate,

ch'al mondo no n'è parno che magiore,

mi mutava talor colo sprendore

che 'n inferno faria l'alme beate,


   quando per nuovo ingegno mi trovai

sanza ragion nel mio misero stato,

nel qual mi strugocome neve al sole,


   in pianti e in sospiriin doglia e 'n guai;

 a me cridar mercé posi' à giovato

a chi pur mortoe non altromi vole


Testimoni:
Ox6, f. 103v; R103, f. 46r: Soneto di mess(er) franciescho

Bibliografia: Solerti, Disperse, pp. 251-252; Massèra, Rime, pp. CXXX, 208; Proto [Recens. Massèra], p. 113; Branca, Rime1, p. 352; Bianchi, Petrarca, pp. 67-68; Lanza, Rime, pp. 286-287; Leporatti, Sonetti attribuibili, pp. 207-208; Barber, Disperse, pp. 56-57; Bilancioni, Dieci sonetti, p. 10.

Schema metrico: Sonetto ABBA ABBA CDE CDE

Seguendo i primi editori, Bilancioni e Solerti, si accoglie a testo la lezione di R103 al v. 2 e ritornava anchor nel viso [Solerti riso] il chore, difficilior interpretando anchor come ‘di nuovo’ in rapporto al v. 1 e core come ‘animo’ o più precisamente qui ‘coraggio’ (senza senso per Massèra e Branca che le preferiscono quella del codice concorrente e ritornava nel viso il colore). Proponiamo anche di restaurare (contrariamente a quanto affermato in Leporatti Sonetti attribuibili) al v. 9 la lezione ingegno di R103, nel senso concreto di ‘trappola’ e astratto di ‘insidia, stratagemma’ (affine al dificio del sonetto, successivo nel codice, R142 v. 5), contro Ox6 isdegno adottato da tutti gli editori, in virtù del richiamo a Rvf 64.5 «Se voi poteste per turbati segni, | per chinar gli occhi, o per pieghar la testa, | o per esser più d’altra al fuggir presta, | torcendo’l viso a’ prieghi honesti et degni, || uscir già mai, over per altri ingegni, | del petto...». Restiamo con R103 anche al v. 7 mi mutava (a bene sperar, con ‘mutare a’ nel senso di ‘volgersi verso’), difficilior rispetto a Ox6 me invitava, preferito da tutti gli editori fin dal Bilancioni (Pecoraro). Sono erronei R103 al v. 3 la ripetizione di più (perche piu alquanto piu soave, corretto in p. già alquanto più s. da Barber) e Ox6 al v. 13 nemi cridar merçe possa giouare (né a me cridar mercé posi’ à giovato : stato; Barber … poscia è g.), dovuta forse a fraintendimento della forma settentrionale posia per poscia. Seguo il manoscritto base nelle varianti adiafore ai vv. 12 «in doglia e ’n guai» (Ox6 om. ’n) e 14 «a chi pur morto… mi vole» (chui). Al v. 8 assumo a testo Ox6 inferno contro R103 iferno, forma dovuta probabilmente a negligenza di un titulus (anche se la trovo attestata nell’OVI nella Storia di Barlaam e Iosafas e nell’Epistola in volgare bolognese). Dialefi d’eccezione av. 5 e 12 (pianti e).
2 anchor nel viso il core] nel viso il colore Ox6
3 alquanto] più alquanto R103
5 a] de Ox6
7 mi mutava] me inuitaua] R103
8 che ’n inferno] cheni ferno R103
9 ingegno] isdegno Ox6
12 e ’n] e Ox6
13 nemi cridar merçe possa giouare Ox6
14 chi] chui Ox6