R136 [Sol. CLIII - A12*]

   Chi crederia giamai ch'esser potese

nel cuor d'una gran fiama il ghiacio ascoso?

Chi crederebe che quelpoderoso,

che pèto alcun come foco acendese?
 

   Chi crederia che la fiama facese

tremar alcunquantunche pauroso?

Chi crederia che 'l fredo aspro e noioso

a furia alcun per sua forza movese?


   Crederòl ioche drento al pèto mio,

quando sdegnosa questa fiama fàsi,

sento l'alma tremar e farsi réda;


   e  m'afuocaquando vo[le], ch'io

temo di cener farmie ela stasi

con' giacio e ombra o neve in parte †strida†.


Testimoni:
R103, f. 44v: Soneto di mess(er) franciescho

Bibliografia: Solerti, Disperse, pp. 217-218; Massèra, Rime, pp. CXXIX, 195; Proto [Recens. Massèra], pp. 113, 123-24; Branca, Rime1, p. 352; Bianchi, Petrarca, pp. 62-63; Lanza, Rime, pp. 124-125; Leporatti, Sonetti attribuibili, p. 211; Proto [Recens. Solerti], p. 36.

Schema metrico: Sonetto ABBA ABBA CDE CDE con rima E imperfetta per un probabile guasto

Si rilevano sicuri errori solo ai vv. 3 quels p. o con segno simile a s dopo quel (quel p.) e 13 tenr (cener); va inoltre corretto al v. 12 per ragioni prosodiche vo in vole (Lanza quando vo, che io, «vo: vado da lei»). Negli altri casi, trattandosi di attestazione unica in un contesto attributivo incerto, di fronte a lezioni dubbie, per quanto non si possa escludere la responsabilità del copista o della sua fonte, è preferibile adottare un atteggiamento più conservativo: come già Solerti, si possono accettare al v. 3 la ripetizione per anticipazione di che congiunzione («Chi crederebe che quel, poderoso, / che» ecc.), il primo sciolto in ch’è da Massèra e Branca, e, malgrado la probabilità che possa essere frutto di svista da parte dell’amanunense, al v. 14 l’endiadi «ghiaccio e ombra», uniformata dal Massèra all’altra occorrenza del sintagma nel sonetto precedente nel codice R135 [A17*], v. 11 «ma stasi freda come giacio a l’ombra». Mantengo al v. 11 réda nel senso di redda 'rigida’ (con riferimento al ‘rigor mortis’?), attestato in testi toscani (nell’OVI, per es., Bestiario toscano «ae si reddo lo collo», e anche con grafia scempia, «à ’l collo sì redo»), per cui Solerti suggeriva in nota la lezione preda per ‘pietra’ (che enfatizzerebbe l’idea di immobilità contrapposta al precedente tremar, sennonché tutto il testo è costruito sulla contrapposizione caldo/freddo: 2, 14 ghiaccio, 14 ombra, neve, 7 freddo, contro 2, 5, 10 fiamma, 4 fuoco, 12 affuoca, 13 cenere) e corretto da Massèra e Branca in fredda. Conserviamo anche, ma con una crux, la lezione del ms. all’ultimo verso, strida, omesso lasciando lacuna in Solerti e corretto in stretta da Massèra e Branca, soddisfacente dal punto di vista del senso (‘neve… in parte stretta’, cioè chiusa, quindi al riparo dal sole’), ma che si stenta a riconoscere dietro la lezione tràdita (a parte la vocale, che potrebbe essere etimologica da strictus, ci si aspetterebbe stret(t)a con consonante sorda e conseguente rima imperfetta con red(d)a). È possibile tuttavia che la soluzione possa essere, banalmente, fred(d)a, già suggerita dal Proto nella recensione all’ed. Solerti (in favore della quale Salvatore segnala opportunamente Purg. XXIX 101, dove il sintagma parrebbe essere antonomasia per dire “il settentrione”).
3 quel] quels (s, forse, agg.)
11 sento ← sendo
13 cener] tenr